cominciamo da qui

martedì 26 febbraio 2008

l'animale della settimana



obgiblo lo dnomai che o in di . pheucbblirei ma flaro aostppa snono mi pcheré paesnssi non tu ho svnite ...

sabato 23 febbraio 2008

prima versione con finale,
prima conversione sul finale

Sentì bussare così scese dalla ringhiera e andò ad aprire la porta.
Il vecchio entrò e le porse un uccellino di cristallo. Lei lo rigirò fra le mani osservandolo attentamente.
"È incredibile, è ancora intero? non si è nemmeno scheggiato!"
"Sì, è scivolato sugli ombrelloni del bar e mi è caduto sulla pancia proprio due minuti fa, mentre facevo colazione".
Si affacciò sul balcone e indicò il punto, di sotto, dove c'erano i tavoli esterni del bar. Poi si voltò verso la donna che era rimasta all'interno.
"Cos'è, vi preparate a migrare?".
La donna alzò solo un poco le spalle, senza rispondere. Uscì anche lei e accarezzò piano con l'indice della mano libera, nell'altra stringeva ancora la statuina di cristallo, la testolina del pappagallino.
L'uomo si avvicinò interessato all'unico animaletto in carne e ossa posato sulla ringhiera del balcone, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena le chiese se non aveva paura che l'uccellino potesse scappare via.
Era vestito in modo estremamente elegante, quasi retrò. Giacca e pantaloni di taglio perfetto in gessato grigio scuro, camicia bianca e cravatta rossa, bastone con il pomo argentato che al suo ingresso aveva brillato nell'atrio così come le quattro lamette che portava nel taschino della giacca aperte a ventaglio come un rigido fazzoletto.
"Non ci ho mai pensato, a dire il vero, che potrebbe essere lui a lasciare me".
“Vedendoti ogni giorno pronta a partire, si convincerà anche lui che è arrivato il momento di considerare altre sistemazioni per l’inverno”.
La donna lo ringraziò per la gentilezza e lo accompagnò alla porta. Prima di uscire, fermo sull'uscio, lui le disse che il bar stava per chiudere. La moglie del barista aveva armeggiato con il forno con cui ogni mattina cocevano i cornetti, parlava da anni di voler mettere la testa dentro e aprire il gas per vedere cosa sarebbe successo e quanto tempo le sarebbe occorso per scoprire la verità.
Proprio mentre cadeva l'uccellino di cristallo, la donna aprì lo sportello, girò la manopola alla temperatura intermedia e infilò dentro la testa appoggiando la guancia sul piatto interno.
Il vecchio le spiegò diligentemente le reazioni del barista alla vista della moglie con il microonde per cappello, che bestemmiò un pochino maledicendo quella donna distratta che non si era nemmeno accorta della sostituzione del forno a gas.
Il vecchio quindi la salutò mostrandole i polsi e girò sui tacchi con la leggerezza di un ballerino.
La donna uscì fuori sul balcone e posò nuovamente l'uccellino di cristallo sulla ringhiera, poi vi salì anche lei.

Cercava di fissare l'orizzonte e di non abbassare gli occhi verso il vuoto, ma si sentì chiamare così piegò in giù la testa e guardò la strada. Una ragazza agitava un braccio verso di lei, in mano aveva una piccola rondine di legno. Allora si voltò e controllò la fila alla sua destra: l’uccellino di cristallo, quello di porcellana, quello di terracotta e il pappagallino. In effetti, l'uccellino di balsa mancava all'appello.
Fece cenno alla ragazza di salire su, poco dopo era davanti la sua porta.
"Ho sentito qualcosa che mi cadeva in testa, fortuna che è leggera e che avevo il cappello..."
La ragazza si sedette a tavola senza aspettare un invito e guardò la caffettiera. La donna sospirò leggermente e poi cominciò a preparare il caffè, era in debito, quella ragazza con un sombrero enorme in testa aveva salvato la sua rondine.
"Ero uscita per un caffè ma al bar sta succedendo di tutto"
"Beh, lo prenderai qui, credo anche che il mio sia migliore..."
La ragazza giocherellava con le sue collane colorate facendo scorrere il dito lungo la fila di pastiglie e capsule, sbadigliò, chiese scusa, allungò le mani verso la tazzina e disse che ne aveva proprio un gran bisogno e bevendo le raccontò cos'altro era successo al bar.
Il barista passò un braccio attorno la vita della moglie tirandola via dal microonde spento e sulle prime con molta calma cominciò a spiegarle il funzionamento basilare degli elettrodomestici che avevano lì dentro. Ma arrivata a "lo spurgo della macchina del caffè con sale grosso e limone" le spalle della donna scesero di un poco e lei cominciò a osservare ciclicamente i quattro angoli del soffitto.
Il barista non demorse, aprì il cassetto dove teneva le garanzie e i libretti delle istruzioni, tirò fuori tutto e porse questi ultimi alla moglie, scoprendo così la pistola che teneva sul fondo.
Le chiese di leggere ad alta voce e mentre lei cantilenava le raccomandazioni dei produttori lui teneva il ritmo lento battendo l’indice sulla canna fredda. La nenia della moglie era continuata con un tono sempre più stridulo, fino a che la donna non esplose in un urletto breve e fastidioso, un soprano strozzato che buttò a terra il libretto dicendo che non avrebbe impiegato il suo tempo e la sua attenzione per capire la meccanica di ogni pezzo di ferro dentro quel bar finché lui non avesse impiegato tempo e attenzione per capire sua moglie, non l’avesse ripresa con sé allontanandola da tutti i suoi amanti.
Forse proprio la parola amanti aveva fatto ridestare il barista dal suo ipnotico battere sulla pistola ma la ragazza non ne era sicura perché non ascoltava in quel momento né guardava i visi dei due, era concentrata sulla mano sinistra dell’uomo, con la quale lui prese l’arma, la puntò alla tempia e fece fuoco sporcandosi metà faccia con la polvere da sparo bruciata e mandando il proiettile a rimbalzare contro la pesante cappa sopra la friggitrice.
Sulla soglia del bar, la ragazza non era riuscita a vedere poi che direzione avesse preso il proiettile schizzato fuori dalla vetrina laterale, perché in quel momento si sentì colpire in testa da qualcosa e tastando sul cappello, senza toglierselo, trovò la rondine.
La donna, alla fine del racconto, tolse la tazzina vuota dal tavolo e rimase a fissare la ragazza finché questa non disse che per lei era arrivato il momento di andare via.
Prima però le raccomandò di legare gli oggettini con dei fili leggeri in modo che non cadessero nuovamente. Oppure di applicarci sotto delle piccole calamite.
“E il pappagallino? Non posso legarlo. Dici delle sciocchezze, ora è veramente il caso che tu vada via, torna giù a indagare nei fatti degli altri”.
“Ma sono talmente distratta da non capire mai cosa accade veramente...”
La donna stava in silenzio, ferma, in piedi.
“...volevo solo evitare che qualche uccellino possa cadere di nuovo, stavolta rompendosi”.
“Hai ragione, sei distratta, forse sei solo stanca. Guarda fuori, guarda laggiù” disse indicando il panorama oltre la ringhiera, il sole, le rondini pronte a partire appollaiate sui fili elettrici, “ti pare che qualcuno o qualcosa possa davvero farsi male? La mia scelta sarà la migliore, la migliore per tutti”.
Le carezzò la testa e aggiunse “la migliore anche per te. E quando l’avrò presa, ognuno dovrà essere pronto a partire, ognuno dovrà essere libero da legami e calamite”.
La ragazza alzandosi ringraziò nuovamente "avevi ragione, il tuo caffè è migliore di quello del bar".
La donna sorrise, la salutò e ricambiò i complimenti per il suo caffè con degli altri, sinceri, per le collane negli sgargianti colori dei barbiturici.

Nel risalire sulla ringhiera fece attenzione, questa volta, a non far cadere niente. La fila di uccellini, al completo, stava in bilico sul bordo arrotondato di ferro. Come lei, ognuno fissava dritto davanti a sé. Una volta in piedi osservò attentamente la forma del quartiere e poi più in là l'inizio della periferia. Finalmente riuscì a capire la morfologia della sua città, finalmente vide la prima linea di fuga, che partiva da sotto casa sua, dalla fermata del treno, e proseguiva lungo i binari verso sud-est. È stato per vedere verso cosa portasse che si sporse un poco di più e fece cadere l'uccello di terracotta.
Chiuse gli occhi per non vedere la triste fine dell'oggetto, quando li riaprì, il ragazzo vestito col sacco di iuta la salutava dal marciapiede. Sottobraccio un cesto pieno di teste d'aglio.
Una volta di sopra, frugò nel cesto smovendo le teste in cerca di un pensiero per la donna. Non trovando di meglio, posò sul tavolo prima un mozzicone di candela poi il pettirosso di terracotta.
Raccontò alla donna di avere un fratello giù, legato ai binari, un fratello più basso di lui, con mani più delicate e piedi più piccoli. Mentre l'uccellino cadeva e il treno arrivava, suo fratello gli stava cantando una canzone sulle navi e sul mare. Al ritornello, inventato sul momento visto che non aveva affatto memoria per i testi, un proiettile vagante tranciò i fili elettrici della linea bloccando la locomotiva qualche metro più su, dove un anziano ed elegante signore rimasto in mezzo la strada elogiava l'essenzialità di una buona mira e della mano ferma in certi casi.
Il ragazzo parlava, in piedi vicino il tavolo, vestito col suo sacco che gli lasciava in mostra le braccia forti e che era tenuto su da una lunga fune che lui non teneva solo legata in vita ma che gli si arrotolava lungo tutto il torace.
Le disse che quello era il suo unico fratello e che tutti erano convinti che fosse più grande di lui di quasi due anni ma nessuno glielo aveva mai in qualche modo dimostrato. Poi si fermò, lei non gli aveva rivolto nessuna domanda, non aveva chiesto spiegazioni riguardo la sua storia, non sembrava affatto interessata a quel fratello eccezionale di cui le stava parlando.
Così le disse che la osservavano, insieme lui e suo fratello, ogni giorno in piedi sulla sua ringhiera. All'inizio solo per guardarle sotto la vestaglia, poi incuriositi dal suo scrutare, cercavano di seguire con i loro sguardi il suo, ma sembrava sempre che avessero la vista troppo corta, c'erano poi tutti quei palazzi a interrompere la visuale, l'impossibilità di avere una prospettiva orizzontale senza stare in alto come lei, a terra era uno scontrarsi continuo contro infiniti piani verticali.
"Cosa fai lì sopra, ogni giorno?"
"Non faccio niente, lì sopra. Dici di guardarmi ogni giorno, mi chiedo cosa guardi allora, cosa guardi? Se mi guardassi per davvero ti saresti accorto che non faccio nulla".
La donna prese le gerbere rosse dal vaso al centro del tavolo, tagliò via i gambi più lunghi e prese ad appuntarle lungo i giri della fune.
Lo prese per una mano e lo condusse fuori.
“Ecco cosa vedo”, gli disse.
Guardò di sotto e vide il fratello rialzarsi dai binari e togliersi di dosso la polvere. Anche lui vestito con un sacco di iuta, se lo tolse piano rimanendo nudo a camminare in equilibrio sulle traversine dei binari. La donna gli mise una mano sotto il mento e gli alzò il viso “no, devi guardare più in là”.
Finalmente allungò lo sguardo verso l’orizzonte, verso ciò che immaginava lei guardasse ogni giorno.
“Da qui puoi vedere fino alla fine, puoi vedere ogni strada che porta via, da qui si vede l’orizzonte”, le disse.
Lei sorrise del suo modo di stringere gli occhi per vedere più lontano, contro la luce del sole, e dei suoi lineamenti armoniosi, sorrise per il sacco con cui era vestito e delle belle braccia e belle gambe che rimanevano scoperte, sorrise della sua ingenuità e della sua bellezza, del modo in cui si era lasciato agghindare di fiori senza protestare e del modo in cui, anche così conciato, fosse sensuale.
“L’orizzonte è solo un posto come questo, di cui non vediamo i difetti. L’orizzonte non esiste, è solo una linea piatta prodotto di una capacità visiva limitata”.
Il ragazzo era rimasto in silenzio e quello che lei aveva appena detto non significava niente, per rimediare, omaggiò l’ingenuità di lui “bisognerebbe saper volare”, gli disse. Ma non bastò e avendolo lasciato senza altro da dire né qualcosa da offrirle oltre le sue teste d'aglio, il ragazzo uscì poco dopo, elogiando il design e la solidità dei lampadari di quella casa.
Rimasta nuovamente sola, guardò i suoi uccelli e soffiò fra le piume del pappagallino. Una volta in piedi sulla ringhiera, ancora, ricominciò a guardare oltre il fiume scavalcando con gli occhi, e il pensiero, le piccole cose che accadevano sotto di lei. Tre ponti portavano dall’altra parte, quello centrale, il più grande, era allineato al suo palazzo, a quello di fronte e agli altri tre che seguivano, per raggiungerlo quindi si poteva prendere indifferentemente una della due strade che correvano ai lati della fila di costruzioni. Non possedeva macchina, bici o altri mezzi e il treno era ancora fermo, per andare via aveva solo i suoi piedi, se li guardò: erano nudi, leggermente curvati ad abbracciare con la pianta il ferro su cui era arrampicata.

La signora del palazzo di fronte entrò con un vassoio di fettuccine fresche, l'usignolo di porcellana bianca posato al centro. L'aveva visto cadere mentre attraversava la strada per portarle la pasta - a casa sua una televisione muta e un marito che non ne voleva sapere di uscire dalla vasca da bagno le avevano suggerito l'idea di pranzare da lei - poi l'uccello era atterrato soffice e indenne fra i nidi di fettuccine.
La donna guardò quella signora paffuta, guardò la pasta che ancora le stava porgendo, prese una pentola e con indolenza la riempì d'acqua e la mise sul fuoco, precisando prima di non avere fame.
La vicina aveva assistito dalla finestra all'incidente sulla linea del treno e sapeva che l'elettricità era stata tolta in tutta la zona per i lavori di ripristino, così non si era preoccupata mai nemmeno quando aveva sentito il marito urlare, aveva pensato piuttosto che fosse l'improvviso entusiasmo dovuto al ritrovare qualche utilità in un phon dopo anni di calvizie.
Si lisciò con le mani il grembiule infarinato, la tasca centrale gonfia di sassi, la trama della stoffa tirata sotto il peso delle pietre.
Mentre la pasta coceva e i vetri della finestra si appannavano per il vapore, la vicina continuava a guardare fuori, prima verso la sua casa, che stava proprio di fronte a lei, poi verso il confine della città e il fiume grigio che lo segnava.
“Sai? Credo anch’io che tornerà”
Anche lei? E chi altro lo crederebbe?”
“Beh, cara, ti vedo sempre qui fuori ad aspettare” le disse la vicina indicando al di là del vetro.
“Lei non ha visto la sua telenovela oggi e se ne sta inventando una tutta da sé, ed è lodevole questo, è segno di creatività. Ma la prego di non mettermi fra i suoi personaggi. Nella vita reale le persone non tornano dopo anni per esigenze di copione, nella vita reale le persone spariscono senza creare grossi colpi di scena. Io non aspetto nessuno, non aspetto lui. Io da lassù studio e valuto”.
Di nuovo, quello che aveva detto le sembrava senza senso ma non aggiunse nulla stavolta, scolò la pasta e impose il silenzio del pranzo.

Appena la vicina fu fuori la porta, tornò al suo posto, sul balcone, senza sparecchiare la tavola. La vide dopo qualche minuto dietro i vetri delle finestre, a casa sua, dall’altro lato della strada, una sagoma affaccendata e delusa. La vide nel bagno, anche se i vetri erano smerigliati e la figura della vicina era spezzettata e ricomposta in piccoli triangoli, mentre si avvicinava alla vasca a aiutava il marito ad uscire dall’acqua. Vide la figura di lui alzarsi in piedi e diventare più alta di quella di lei, vide il rettangolo dell’asciugamano allargarsi e poi appoggiarsi ed essere assorbito dalla forma dell’uomo.
Poi allontanò lo sguardo, le strade erano sempre le stesse e ormai le conosceva perfettamente.
Eppure non aveva guardato quando lui era andato via, così ora fra quelle strade non sapeva da quale sarebbe potuto tornare, nel caso avesse mai voluto riprendersi i suoi uccelli. Ognuna di esse aveva una geometria che la rendeva affascinante, ma a quell’ora, ogni sera, la via che correva verso sud-ovest e accoglieva il sole fra le file di alberi ai suoi lati, era più che illuminata, era scintillante. Anche se poteva vederne solo una parte, anche se dall’alto ne aveva una visione sicuramente diversa da quella che avrebbe avuto camminando, anche se il punto di fuga che si vedeva alla sua fine era solo un punto e non un posto, l’idea di poter arrivare lì, e di viverci, di vivere in un punto, sembrava possibile.
Forse il pappagallino intuì i suoi pensieri, o forse quel punto interessava anche lui, abbassò un poco la coda e poi si lanciò nel vuoto.
Era la prima volta che lei gli vedeva aprire le ali colorate. Era molto bello, niente a che vedere con gli altri uccellini, seppur eleganti, ma spenti.
L’uccellino continuò a guardare il punto, ma sceso all’altezza del secondo piano questo scomparve alla sua vista.
Interdetto e spaesato, richiuse le ali e piombò a terra.
La ragazza dormiva sul prato col sombrero calato sugli occhi, il vecchio le passeggiava attorno disegnando sull’erba strane figure col suo bastone, il ragazzo stava rivestendo il fratello sotto gli occhi e la fame della moglie del barista. Nessuno si accorse dell’uccellino che moriva sull’asfalto e nessuno si accorse della pioggia di oggetti che piombavano dal balcone: la donna buttò di sotto, infuriata, tutte le statuine guardandole andare in frantumi una a una.
Poi si chiuse la porta alle spalle, lasciando sul tavolo un mazzo di chiavi che non le sarebbe più servito, e scese giù, per la prima volta da anni.
Si accovacciò vicino il pappagallino, lo raccolse.
Ancora scalza, chiese al vecchio di prestarle le scarpe, lui acconsentì, le stavano un po’ grandi ma strinse forte i lacci e si avviò lungo la sua strada.

[bisognerà che approfondisca la storia di lei. 'ché mica si capisce, così. l'ha detto mia madre e ha ragione. mia madre s'è preoccupata, tutta 'sta gente che vuole morire... va tutto bene, mamma, devo solo spiegare meglio la storia]

lunedì 18 febbraio 2008

lunedì 11 febbraio 2008

sabato 9 febbraio 2008

riscrittura: a pezzetti, a strati, a intervalli

Sentì bussare così scese dalla ringhiera e andò ad aprire la porta.
Il vecchio entrò e le porse un uccellino di cristallo. Lei lo rigirò fra le mani osservandolo attentamente.
“È incredibile, è ancora intero? non si è nemmeno scheggiato!”
“Sì, è scivolato sugli ombrelloni del bar e mi è caduto sulla pancia proprio due minuti fa, mentre facevo colazione”.
Si affacciò sul balcone e indicò il punto, di sotto, dove c'erano i tavoli esterni del bar. Poi si voltò verso la donna che era rimasta all'interno.
"Cos'è, vi preparate a migrare?".
La donna alzò solo un poco le spalle, senza rispondere. Uscì anche lei e accarezzò piano con l'indice della mano libera, nell'altra stringeva ancora la statuina di cristallo, la testolina del pappagallino.
L'uomo si avvicinò interessato all'unico animaletto in carne e ossa posato sulla ringhiera del balcone, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena le chiese se non aveva paura che l'uccellino potesse scappare via.
Era vestito in modo estremamente elegante, quasi retrò. Giacca e pantaloni di taglio perfetto in gessato grigio scuro, camicia bianca e cravatta rossa, bastone con il pomo argentato che al suo ingresso aveva brillato nell’atrio così come le quattro lamette che portava nel taschino della giacca aperte a ventaglio come un rigido fazzoletto.
"Non ci ho mai pensato, a dire il vero, che potrebbe essere lui a lasciare me".
La donna lo ringraziò per la gentilezza e lo accompagnò alla porta. Prima di uscire, fermo sull’uscio, lui le disse che il bar stava per chiudere. La moglie del barista aveva armeggiato con il forno con cui ogni mattina cocevano i cornetti, parlava da anni di voler mettere la testa dentro e aprire il gas per vedere cosa sarebbe successo e quanto tempo le sarebbe occorso per scoprire la verità.
Proprio mentre cadeva l’uccellino di cristallo, la donna aprì lo sportello, girò la manopola alla temperatura intermedia e infilò dentro la testa appoggiando la guancia sul piatto interno.
Il vecchio le spiegò diligentemente le reazioni del barista alla vista della moglie con il microonde per cappello, che bestemmiò un pochino maledicendo quella donna distratta che non si era nemmeno accorta della sostituzione del forno a gas.
Il vecchio quindi la salutò mostrandole i polsi e girò sui tacchi con la leggerezza di un ballerino.
La donna uscì fuori sul balcone e posò nuovamente l’uccellino di cristallo sulla ringhiera, poi vi salì anche lei.

Cercava di fissare l’orizzonte e di non abbassare gli occhi verso il vuoto, ma si sentì chiamare così piegò in giù la testa e guardò la strada. Una ragazza agitava un braccio verso di lei, in mano aveva una piccola rondine di legno. Allora si voltò e controllò la fila alla sua destra: in effetti, l’uccellino di balsa mancava all’appello.
Fece cenno alla ragazza di salire su, poco dopo era davanti la sua porta.
“Ho sentito qualcosa che mi cadeva in testa, fortuna che è leggera e che avevo il cappello...”
La ragazza si sedette a tavola senza aspettare un invito e guardò la caffettiera. La donna sospirò leggermente e poi cominciò a preparare il caffè, era in debito, quella ragazza con un sombrero enorme in testa aveva salvato la sua rondine.
“Ero uscita per un caffè ma al bar sta succedendo di tutto”
“Beh, lo prenderai qui, credo anche che il mio sia migliore...”
La ragazza giocherellava con le sue collane colorate facendo scorrere il dito lungo la fila di pastiglie e capsule, sbadigliò, chiese scusa, allungò le mani verso la tazzina e disse che ne aveva proprio un gran bisogno e bevendo le raccontò cos’altro era successo al bar.
Il barista passò un braccio attorno la vita della moglie tirandola via dal microonde spento e sulle prime con molta calma cominciò a spiegarle il funzionamento basilare degli elettrodomestici che avevano lì dentro. Ma arrivata a “lo spurgo della macchina del caffè con sale grosso e limone” le spalle della donna scesero di un poco e lei cominciò a osservare ciclicamente i quattro angoli del soffitto.

Il barista non demorse, aprì il cassetto dove teneva le garanzie e i libretti delle istruzioni, tirò fuori tutto e porse questi ultimi alla moglie, scoprendo così la pistola che teneva sul fondo.
Le chiese di leggere ad alta voce e mentre lei cantilenava le raccomandazioni dei produttori lui teneva il ritmo lento battendo l’indice sulla canna fredda. La nenia della moglie era continuata con un tono sempre più stridulo, fino a che la donna non esplose in un urletto breve e fastidioso, buttò a terra fogli e libretti dicendo che avrebbe impiegato il suo tempo e la sua attenzione per capire la meccanica di ogni pezzo di ferro dentro quel bar solo quando lui avrebbe impiegato tempo e attenzione per capire sua moglie, solo quando l’avesse ripresa con sé allontanandola da tutti i suoi amanti.
Forse proprio la parola amanti aveva fatto ridestare il barista dal suo ipnotico battere sulla pistola ma la ragazza non ne era sicura perché non ascoltava in quel momento né guardava i visi dei due, era concentrata sulla mano sinistra dell’uomo, con la quale lui prese l’arma, la puntò alla tempia e fece fuoco sporcandosi metà faccia con la polvere da sparo bruciata e mandando il proiettile a rimbalzare contro la pesante cappa sopra la friggitrice.
Sulla soglia del bar, la ragazza non era riuscita a vedere poi che direzione avesse preso il proiettile schizzato fuori dalla vetrina laterale, perché in quel momento si sentì colpire in testa da qualcosa e tastando sul cappello, senza toglierselo, trovò la rondine.
La donna, alla fine del racconto, tolse la tazzina vuota dal tavolo e rimase a fissare la ragazza finché questa non disse che per lei era arrivato il momento di andare via.
Prima però le raccomandò di legare gli oggettini con dei fili leggeri in modo che non cadessero nuovamente. Oppure di applicarci sotto delle piccole calamite.
“E il pappagallino? Non posso legarlo. Dici delle sciocchezze, ora è veramente il caso che tu vada via, torna giù a indagare nei fatti degli altri”.
“Ma sono talmente distratta da non capire mai cosa accade veramente...”
La donna stava in silenzio, ferma, in piedi.
“...volevo solo evitare che qualche uccellino possa cadere di nuovo, stavolta rompendosi”.
“Hai ragione, sei distratta, forse sei solo stanca. Guarda fuori, guarda laggiù” disse indicando il panorama oltre la ringhiera, il sole, le rondini pronte a partire appollaiate sui fili elettrici, “ti pare che qualcuno o qualcosa possa davvero farsi male? La mia scelta sarà la migliore, la migliore per tutti”.
Le carezzò la testa e aggiunse “la migliore anche per te”.
La ragazza alzandosi ringraziò nuovamente "avevi ragione, il tuo caffè è migliore di quello del bar".
La donna sorrise, la salutò e ricambiò i complimenti per il suo caffè con degli altri, sinceri, per le collane negli sgargianti colori dei barbiturici.

Nel risalire sulla ringhiera fece attenzione, questa volta, a non far cadere niente. La fila di uccellini, al completo, stava in bilico sul bordo arrotondato di ferro. Come lei, ognuno fissava dritto davanti a sé. Una volta in piedi osservò attentamente la forma del quartiere e poi più in là l’inizio della periferia. Finalmente riuscì a capire la morfologia della sua città, finalmente vide la prima linea di fuga, che partiva da sotto casa sua, dalla fermata del treno, e proseguiva lungo i binari verso sud-est. È stato per vedere verso cosa portasse che si sporse un poco di più e fece cadere l’uccello di terracotta.
Chiuse gli occhi per non vedere la triste fine dell’oggetto, quando li riaprì, il ragazzo vestito col sacco di iuta la salutava dal marciapiede. Sottobraccio un cesto pieno di teste d’aglio.
Una volta di sopra, frugò nel cesto smovendo le teste in cerca di un pensiero per la donna. Non trovando di meglio, posò sul tavolo prima un mozzicone di candela poi il pettirosso di terracotta.
Raccontò alla donna di avere un fratello giù, legato ai binari, un fratello più basso di lui, con mani più delicate e piedi più piccoli. Mentre l’uccellino cadeva e il treno arrivava, suo fratello gli stava cantando una canzone sulle navi e sul mare. Al ritornello, inventato sul momento visto che il fratello non aveva affatto memoria per i testi, un proiettile vagante tranciò i fili elettrici della linea bloccando la locomotiva qualche metro più su, dove un anziano ed elegante signore rimasto in mezzo la strada elogiava l'essenzialità di una buona mira e della mano ferma in certi casi.
Il ragazzo parlava, in piedi vicino il tavolo, vestito col suo sacco che gli lasciava scoperte le braccia forti e che era tenuto su da una lunga fune che lui non teneva solo legata in vita ma che gli si arrotolava lungo tutto il torace.
Le disse che quello era il suo unico fratello e che tutti erano convinti che fosse più grande di lui di quasi due anni ma nessuno glielo aveva mai in qualche modo dimostrato. Poi si fermò, lei non gli aveva rivolto nessuna domanda, non aveva chiesto spiegazioni riguardo la sua storia, non sembrava affatto interessata a quel fratello eccezionale di cui le stava parlando.
Così le disse che la osservavano, insieme lui e suo fratello, ogni giorno in piedi sulla sua ringhiera. All'inizio solo per guardarle sotto la vestaglia, poi incuriositi dal suo scrutare, cercavano di seguire con i loro sguardi il suo, ma sembrava sempre che avessero la vista troppo corta, c'erano poi tutti quei palazzi a interrompere la visuale, l'impossibilità di avere una prospettiva orizzontale senza stare in alto come lei, a terra era uno scontrarsi continuo contro infiniti piani verticali.
"Cosa fai lì sopra, ogni giorno?"
"Non faccio niente,
lì sopra. Dici di guardarmi ogni giorno, mi chiedo cosa guardi allora, cosa guardi? Se mi guardassi per davvero ti saresti accorto che non faccio nulla".
La donna prese le gerbere rosse dal vaso al centro del tavolo, tagliò via i gambi più lunghi e prese ad appuntarle lungo i giri della fune.
Il ragazzo, non avendo altro da dire né qualcosa da offrirle oltre le sue teste d'aglio, uscì poco dopo, elogiando il design e la solidità dei lampadari di quella casa.

La signora del palazzo di fronte entrò con un vassoio di fettuccine fresche, l’usignolo di porcellana bianca posato al centro. L’aveva visto cadere mentre attraversava la strada per portarle la pasta - a casa sua una televisione muta e un marito che non ne voleva sapere di uscire dalla vasca da bagno le avevano suggerito l’idea di pranzare da lei – poi l’uccello era atterrato soffice e indenne fra i nidi di fettuccine.
La donna guardò quella signora paffuta, guardò la pasta che ancora le stava porgendo, prese una pentola e con indolenza la riempì d’acqua e la mise sul fuoco, precisando prima di non avere fame.
La vicina aveva assistito dalla finestra all’incidente sulla linea del treno e sapeva che l’elettricità era stata tolta in tutta la zona per i lavori di ripristino, così non si era preoccupata mai nemmeno quando aveva sentito il marito urlare, aveva pensato piuttosto che fosse l’improvviso entusiasmo dovuto al ritrovare qualche utilità in un phon dopo anni di calvizie.
Si lisciò con le mani il grembiule infarinato, la tasca centrale gonfia di sassi.
Mentre la pasta coceva e i vetri della finestra si appannavano per il vapore, la vicina continuava a guardare fuori, prima verso la sua casa, che stava proprio di fronte a lei, poi verso il confine della città e il fiume grigio che lo segnava.