cominciamo da qui

lunedì 24 novembre 2008

il romanzo nel cassetto

mercoledì 19 novembre 2008

una recensione musicale?
o, chi si ricorda di Zack de la Rocha?

o ancora, perché permettere che la distinzione fra il proprio culo e il cuscino del divano sia eterodiretta?


Di là, intanto, le creature sono aumentate e sembrano aver trovato un capo, un leader. Veste meglio, ha la giacca blu e un sorriso inquietante come quello dei suoi simili che conducono l'olocausto in tv. È lui a dirigere le operazioni. Gli zombie non ce la fanno da soli, non distinguono un cuscino del divano dal loro culo. Ma a questo servono i leader. Eccoli allora, coordinati dai suoi ordini. Costruire un ariete per sfondare la porta e difendere l'Ordine dai sovversivi, dai diversi, dagli anarco-insurrezionalisti, dai no-qualcosa, dagli stranieri.

di Lorenzo Centini
qui la recensione completa
qui il sito degli One Day as a Lion

martedì 11 novembre 2008

ci metto troppi vecchi nei racconti

In due momenti della giornata sento che la mia sociopatia sale al limite: quando si alzano le serrande al mattino e trovo fuori sull’asfalto umido, ad attendere l’apertura del negozio, un gruppetto di agguerriti armati del volantino con le ultime promozioni pronti a rovistarmi anche nello stomaco pur di trovare l’offerta del mese, e poi questo, la sera, quando al ritorno verso casa scendo dalla metro e devo sentirmi spingere ripetutamente, in piccoli colpetti che arrivano ovunque: ai fianchi, sulle spalle, sul culo, sulle braccia che non posso più muovere e mi sento costretto, colpetti di ginocchia contro le mie, di ginocchia, non ho autonomia di movimento devo solo farmi trasportare dalla marea fino alla scala mobile. Mi manca il respiro e penso che vorrei camminare coi gomiti protesi verso l’esterno a puntellare la massa di corpi, a tenerla lontana che almeno possa respirare un po'.
Sulla scala mi sposto automaticamente sulla destra, che rimanga spazio sulla sinistra per chi ha fretta, che tanto poi anche se me ne sto scostato di lato mi sbatteranno contro le loro borse piene di oggetti appuntiti e le loro buste della spesa, schifosamente umide per via dei surgelati, dei cadaveri di animali spellati e so un cavolo io cos’altro ci tengono nascosto dentro.
Forse dovrei superare il vecchio che mi sta davanti, barcollante, che rischio pure mi caschi addosso da un momento all’altro. Lo guardo, i tendini dietro il collo tesi e sporgenti con una fossa nel centro che pare possa risucchiargli anche la testa prima di stanotte. Ha le maniche del maglione tirate su al gomito come se fosse appena tornato da una giornata di lavoro nei campi, gli guardo l’avambraccio e la mano poggiata sul nastro di gomma del corrimano scorrevole. Mio nonno che torna da una giornata di lavoro nei campi, le maniche della camicia arrotolate e il braccio forte coi muscoli tesi che regge la vanga leggermente scostata dal corpo. Io gli corro incontro e ai piedi ho degli stivaletti di gomma rossi con superman stampato sui due lati esterni, col braccio teso che punta il cielo, o il mio fianco.
Il maglione del vecchio puzza di armadio chiuso e di cucina a base di dado da brodo. Dovrei superarlo ma rimango fermo lì, lo annuso ancora un po’ e gli guardo di nuovo le braccia, la pelle. È molto più vecchio di mio nonno, è vecchio quanto mio nonno non potrà più diventare. Non ha la stessa rassicurante solidità. Se lo superassi ora e lo guardassi in faccia anche quegli ultimi piccoli pezzetti di paragone cadrebbero sulla scala mobile e verrebbero presto arrotolati sotto, trinciati dal meccanismo. Una volta ho visto una donna coi pantaloni impigliati nel punto dove il nastro metallico rientra disciplinato da un pettine di metallo: la scala mobile sembrava un mostro e le ha strappato i pantaloni. Però dovrei superarlo perché i vecchi una volta arrivati in cima cominciano a fare quei passettini inutili e rimangono fermi sempre allo stesso punto mentre la scala continua a riversargli addosso gente che spinge e non trova sfogo. Non è consigliabile rimanere qui dietro. Eppure mi accosto solo un po’ a sfiorargli la mano con la pelle ruvida in superficie e molle nella consistenza, come se fosse staccata dal resto del corpo. Il vecchio, naturalmente, non se ne accorge.
Attaccato dietro il maglione ha una foglia di cardo, secca, chissà da dove viene e da quanto tempo sta lì. Gli ultimi gradini si appiattiscono per infilarsi sotto gli ingranaggi, come prevedevo il vecchietto comincia a muovere i piedi rimanendo fermo sul posto. Mi avvicino di più, vorrei aiutarlo o vorrei solo toccarlo, senza che si giri. Poi la sento, la voce di qualcuno da dietro che dice “permesso!” imperativa, una ragazza dai jeans a vita bassa e con dei finti piccoli cristalli posizionati sul sedere a comporre la parola JEANS, cos'altro poi. Non ho tempo di scrivermi in fronte ALLIBITO perché la ragazza mi sbilancia, il vecchio è ancora fermo e io mi appoggio a lui, sento l’odore della brillantina Linetti e di cuoio capelluto, caracollo, lui si sposta poco e io sto per cadergli addosso, lo schivo e riesco, finalmente ma malvolentieri, a superarlo; cerco di tenermi alla colonna quadrata di marmo ma sono quasi carponi ormai e sbatto l’avambraccio contro lo spigolo. Il vecchio barcolla, già lo faceva prima, da fermo, ma ora mi guarda torvo come se fosse colpa mia e alza il bastone verso di me: mi vedo sotto il naso il cerchio nero del gommino che sta sulla punta a proteggere il legno.
Una signora si ferma, insieme a lei altre persone, mi guardano accusatorie. Chiedono al vecchio se si sente bene se è tutto a posto. Guardano i miei occhi arrossati e lucidi, devono pensare che sono fatto di chissà cosa. Io mi tengo il braccio, accarezzo le ossa, ulna, radio, ulna, esaspero l’espressione di sofferenza, mi sono fatto male sono una vittima. Loro non sono interessati al mio dolore, chiedono al vecchio se ha tutto, se gli manca niente dalle tasche, mi circondano e io mi arrendo.

domenica 9 novembre 2008

la speranza, ancora

La speranza è che nessuno più voglia far decidere a un pezzo di metallo. Qualunque forma di interpretazione, per quanto lenta e fangosa, sarà sempre preferibile alla violenza. Susan Sontag diceva che non c’è niente di male nel fermarsi a riflettere, perché non si può allo stesso tempo pensare e colpire un altro. Ma questo non lo si raggiunge citando la Sontag. Lo si raggiunge cambiando giorno dopo giorno il clima sociale di un paese che ha perso la mappa etica. Per strada, parlando, negli stadi, in televisione, scrivendo, agendo, di giorno in giorno, con onestà intellettuale e rispetto del prossimo.

(Giorgio Fontana, l'articolo completo su: lo Straniero)

domenica 2 novembre 2008



e noi siamo: due centri commerciali, una centrale turbogas, quattro stabilimenti farmaceutici fra i più pericolosi d'Italia, giunte comunali inadeguate in cui le categorie di "destra" e "sinistra" e "maggioranza" e "opposizione" non hanno mai avuto alcun significato, gianni "il matto" che sfreccia in bici urlando 'mico! vestito da babbo natale per finire poi schiacciato da un'auto in pieno centro, un centro che non è mai stato un centro e una periferia che invece che diramarsi su rette centrifughe si insinua dentro la città e riempe le sue spaccature per conquistarne il cuore; siamo un natale senza più babbo natale in bici che ti urla dietro 'mico!, siamo abusivismo e sperpero, siamo ignoranza e omertà, incoscienza e religione, sporcizia e lamentele, lobby e prepotenza e fascismo latente e camorra sbandierata, acqua privatizzata e fogne "fai-da-te", cassonetti della raccolta differenziata il cui contenuto viene riversato negli stessi furgoni di raccolta e portato in discariche strapiene e indifferenziate, siamo gente che non ha scelto di pensare e che ha accettato l'idea che oliare un meccanismo per ottenere un favore è pratica necessaria e in qualche modo giustificabile, siamo un calderone senza cultura fatto di culture diverse nato nel fascismo e cresciuto nella camorra, siamo il culo proletario di latina e il dormitorio anonimo di roma, siamo un centro sociale che non nasce e non muore, soggiorni obbligatori e una clinica privata, cinema che diventano sale bingo che diventano locali abbandonati, siamo negozi che bruciano o "pizzi" da pagare, siamo omicidi, e sequestri, e festa del patrono, siamo marciapiedi bucati e i buchi sulla statua di un arcangelo che schiaccia il drago.

***

La notte fra il 17 e il 18 novembre, il terreno dove è previsto che sorga la centrale Turbogas è stato sgomberato con la forza da agenti in tenuta antisommossa. A presidiare quella notte c'erano tre persone, padri di famiglia, persone che mai si sarebbero aspettate di esser cacciate come dei temibili terroristi da uno schieramento di forze dell'ordine impressionante, da agenti armati che le hanno trattenute una notte intera in questura. 
Così, nel modo più arrogante possibile, sono cominciati i lavori per una centrale che già ora, già prima di esistere, si basa su una tecnologia obsoleta e su una materia prima, il metano, per la quale dipendiamo dall'estero e per la quale abbiamo già sperimentato una crisi di fornitura negli anni passati. Per dire che insomma, anche lasciando stare le considerazioni sulla salute e sull'ambiente, quella centrale non avrà mai alcun motivo di esistere se non di ordine mafioso, di convenienza politica ed economica di qualche piccolo stupido cieco gruppetto di persone.

sabato 1 novembre 2008

la monaca-pendola tra i fasti di roma


bolliti rimane il nostro segreto
come quando abbiamo ucciso quella monaca


quella monaca ancora penzola dal mio balcone

lo sa mezza città
che la monaca penzola dal mio balcone

lo sa mezza città

la monaca penzola dal mio balcone
la monaca-pendola tra i fasti di roma

l'associazione del silenzio con la monaca che ora penzola e il silenzio con lo sa mezza città. la città un po' vociante un po' muta. un po' come se fosse la suoretta di Puccini. ma no, è una monaca grassa di quelle che cadono dalle scale. e tu dici cosa è che fa bianco nero bianco nero, una monaca che cade dalle scale, rispondi. c'è una scala, c'è una soffitta. un baule. è tutto molto materno eh, siamo un utero in un utero. io ovviamente sono l'utero più grande, la soffitta. 
le monache si agitano sulla maternità, e le volute di stoffa, bianco nero. una cosa dinamica tipo scultura equina futurista, tra i fasti di roma, se ne vedono le scarpe però bianco nero bianco nero. si agita, e la monaca e le volute. 

tu sapevi che l'avrei fatto. ora c'è un po' di silenzio