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sabato 9 febbraio 2008

riscrittura: a pezzetti, a strati, a intervalli

Sentì bussare così scese dalla ringhiera e andò ad aprire la porta.
Il vecchio entrò e le porse un uccellino di cristallo. Lei lo rigirò fra le mani osservandolo attentamente.
“È incredibile, è ancora intero? non si è nemmeno scheggiato!”
“Sì, è scivolato sugli ombrelloni del bar e mi è caduto sulla pancia proprio due minuti fa, mentre facevo colazione”.
Si affacciò sul balcone e indicò il punto, di sotto, dove c'erano i tavoli esterni del bar. Poi si voltò verso la donna che era rimasta all'interno.
"Cos'è, vi preparate a migrare?".
La donna alzò solo un poco le spalle, senza rispondere. Uscì anche lei e accarezzò piano con l'indice della mano libera, nell'altra stringeva ancora la statuina di cristallo, la testolina del pappagallino.
L'uomo si avvicinò interessato all'unico animaletto in carne e ossa posato sulla ringhiera del balcone, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena le chiese se non aveva paura che l'uccellino potesse scappare via.
Era vestito in modo estremamente elegante, quasi retrò. Giacca e pantaloni di taglio perfetto in gessato grigio scuro, camicia bianca e cravatta rossa, bastone con il pomo argentato che al suo ingresso aveva brillato nell’atrio così come le quattro lamette che portava nel taschino della giacca aperte a ventaglio come un rigido fazzoletto.
"Non ci ho mai pensato, a dire il vero, che potrebbe essere lui a lasciare me".
La donna lo ringraziò per la gentilezza e lo accompagnò alla porta. Prima di uscire, fermo sull’uscio, lui le disse che il bar stava per chiudere. La moglie del barista aveva armeggiato con il forno con cui ogni mattina cocevano i cornetti, parlava da anni di voler mettere la testa dentro e aprire il gas per vedere cosa sarebbe successo e quanto tempo le sarebbe occorso per scoprire la verità.
Proprio mentre cadeva l’uccellino di cristallo, la donna aprì lo sportello, girò la manopola alla temperatura intermedia e infilò dentro la testa appoggiando la guancia sul piatto interno.
Il vecchio le spiegò diligentemente le reazioni del barista alla vista della moglie con il microonde per cappello, che bestemmiò un pochino maledicendo quella donna distratta che non si era nemmeno accorta della sostituzione del forno a gas.
Il vecchio quindi la salutò mostrandole i polsi e girò sui tacchi con la leggerezza di un ballerino.
La donna uscì fuori sul balcone e posò nuovamente l’uccellino di cristallo sulla ringhiera, poi vi salì anche lei.

Cercava di fissare l’orizzonte e di non abbassare gli occhi verso il vuoto, ma si sentì chiamare così piegò in giù la testa e guardò la strada. Una ragazza agitava un braccio verso di lei, in mano aveva una piccola rondine di legno. Allora si voltò e controllò la fila alla sua destra: in effetti, l’uccellino di balsa mancava all’appello.
Fece cenno alla ragazza di salire su, poco dopo era davanti la sua porta.
“Ho sentito qualcosa che mi cadeva in testa, fortuna che è leggera e che avevo il cappello...”
La ragazza si sedette a tavola senza aspettare un invito e guardò la caffettiera. La donna sospirò leggermente e poi cominciò a preparare il caffè, era in debito, quella ragazza con un sombrero enorme in testa aveva salvato la sua rondine.
“Ero uscita per un caffè ma al bar sta succedendo di tutto”
“Beh, lo prenderai qui, credo anche che il mio sia migliore...”
La ragazza giocherellava con le sue collane colorate facendo scorrere il dito lungo la fila di pastiglie e capsule, sbadigliò, chiese scusa, allungò le mani verso la tazzina e disse che ne aveva proprio un gran bisogno e bevendo le raccontò cos’altro era successo al bar.
Il barista passò un braccio attorno la vita della moglie tirandola via dal microonde spento e sulle prime con molta calma cominciò a spiegarle il funzionamento basilare degli elettrodomestici che avevano lì dentro. Ma arrivata a “lo spurgo della macchina del caffè con sale grosso e limone” le spalle della donna scesero di un poco e lei cominciò a osservare ciclicamente i quattro angoli del soffitto.

Il barista non demorse, aprì il cassetto dove teneva le garanzie e i libretti delle istruzioni, tirò fuori tutto e porse questi ultimi alla moglie, scoprendo così la pistola che teneva sul fondo.
Le chiese di leggere ad alta voce e mentre lei cantilenava le raccomandazioni dei produttori lui teneva il ritmo lento battendo l’indice sulla canna fredda. La nenia della moglie era continuata con un tono sempre più stridulo, fino a che la donna non esplose in un urletto breve e fastidioso, buttò a terra fogli e libretti dicendo che avrebbe impiegato il suo tempo e la sua attenzione per capire la meccanica di ogni pezzo di ferro dentro quel bar solo quando lui avrebbe impiegato tempo e attenzione per capire sua moglie, solo quando l’avesse ripresa con sé allontanandola da tutti i suoi amanti.
Forse proprio la parola amanti aveva fatto ridestare il barista dal suo ipnotico battere sulla pistola ma la ragazza non ne era sicura perché non ascoltava in quel momento né guardava i visi dei due, era concentrata sulla mano sinistra dell’uomo, con la quale lui prese l’arma, la puntò alla tempia e fece fuoco sporcandosi metà faccia con la polvere da sparo bruciata e mandando il proiettile a rimbalzare contro la pesante cappa sopra la friggitrice.
Sulla soglia del bar, la ragazza non era riuscita a vedere poi che direzione avesse preso il proiettile schizzato fuori dalla vetrina laterale, perché in quel momento si sentì colpire in testa da qualcosa e tastando sul cappello, senza toglierselo, trovò la rondine.
La donna, alla fine del racconto, tolse la tazzina vuota dal tavolo e rimase a fissare la ragazza finché questa non disse che per lei era arrivato il momento di andare via.
Prima però le raccomandò di legare gli oggettini con dei fili leggeri in modo che non cadessero nuovamente. Oppure di applicarci sotto delle piccole calamite.
“E il pappagallino? Non posso legarlo. Dici delle sciocchezze, ora è veramente il caso che tu vada via, torna giù a indagare nei fatti degli altri”.
“Ma sono talmente distratta da non capire mai cosa accade veramente...”
La donna stava in silenzio, ferma, in piedi.
“...volevo solo evitare che qualche uccellino possa cadere di nuovo, stavolta rompendosi”.
“Hai ragione, sei distratta, forse sei solo stanca. Guarda fuori, guarda laggiù” disse indicando il panorama oltre la ringhiera, il sole, le rondini pronte a partire appollaiate sui fili elettrici, “ti pare che qualcuno o qualcosa possa davvero farsi male? La mia scelta sarà la migliore, la migliore per tutti”.
Le carezzò la testa e aggiunse “la migliore anche per te”.
La ragazza alzandosi ringraziò nuovamente "avevi ragione, il tuo caffè è migliore di quello del bar".
La donna sorrise, la salutò e ricambiò i complimenti per il suo caffè con degli altri, sinceri, per le collane negli sgargianti colori dei barbiturici.

Nel risalire sulla ringhiera fece attenzione, questa volta, a non far cadere niente. La fila di uccellini, al completo, stava in bilico sul bordo arrotondato di ferro. Come lei, ognuno fissava dritto davanti a sé. Una volta in piedi osservò attentamente la forma del quartiere e poi più in là l’inizio della periferia. Finalmente riuscì a capire la morfologia della sua città, finalmente vide la prima linea di fuga, che partiva da sotto casa sua, dalla fermata del treno, e proseguiva lungo i binari verso sud-est. È stato per vedere verso cosa portasse che si sporse un poco di più e fece cadere l’uccello di terracotta.
Chiuse gli occhi per non vedere la triste fine dell’oggetto, quando li riaprì, il ragazzo vestito col sacco di iuta la salutava dal marciapiede. Sottobraccio un cesto pieno di teste d’aglio.
Una volta di sopra, frugò nel cesto smovendo le teste in cerca di un pensiero per la donna. Non trovando di meglio, posò sul tavolo prima un mozzicone di candela poi il pettirosso di terracotta.
Raccontò alla donna di avere un fratello giù, legato ai binari, un fratello più basso di lui, con mani più delicate e piedi più piccoli. Mentre l’uccellino cadeva e il treno arrivava, suo fratello gli stava cantando una canzone sulle navi e sul mare. Al ritornello, inventato sul momento visto che il fratello non aveva affatto memoria per i testi, un proiettile vagante tranciò i fili elettrici della linea bloccando la locomotiva qualche metro più su, dove un anziano ed elegante signore rimasto in mezzo la strada elogiava l'essenzialità di una buona mira e della mano ferma in certi casi.
Il ragazzo parlava, in piedi vicino il tavolo, vestito col suo sacco che gli lasciava scoperte le braccia forti e che era tenuto su da una lunga fune che lui non teneva solo legata in vita ma che gli si arrotolava lungo tutto il torace.
Le disse che quello era il suo unico fratello e che tutti erano convinti che fosse più grande di lui di quasi due anni ma nessuno glielo aveva mai in qualche modo dimostrato. Poi si fermò, lei non gli aveva rivolto nessuna domanda, non aveva chiesto spiegazioni riguardo la sua storia, non sembrava affatto interessata a quel fratello eccezionale di cui le stava parlando.
Così le disse che la osservavano, insieme lui e suo fratello, ogni giorno in piedi sulla sua ringhiera. All'inizio solo per guardarle sotto la vestaglia, poi incuriositi dal suo scrutare, cercavano di seguire con i loro sguardi il suo, ma sembrava sempre che avessero la vista troppo corta, c'erano poi tutti quei palazzi a interrompere la visuale, l'impossibilità di avere una prospettiva orizzontale senza stare in alto come lei, a terra era uno scontrarsi continuo contro infiniti piani verticali.
"Cosa fai lì sopra, ogni giorno?"
"Non faccio niente,
lì sopra. Dici di guardarmi ogni giorno, mi chiedo cosa guardi allora, cosa guardi? Se mi guardassi per davvero ti saresti accorto che non faccio nulla".
La donna prese le gerbere rosse dal vaso al centro del tavolo, tagliò via i gambi più lunghi e prese ad appuntarle lungo i giri della fune.
Il ragazzo, non avendo altro da dire né qualcosa da offrirle oltre le sue teste d'aglio, uscì poco dopo, elogiando il design e la solidità dei lampadari di quella casa.

La signora del palazzo di fronte entrò con un vassoio di fettuccine fresche, l’usignolo di porcellana bianca posato al centro. L’aveva visto cadere mentre attraversava la strada per portarle la pasta - a casa sua una televisione muta e un marito che non ne voleva sapere di uscire dalla vasca da bagno le avevano suggerito l’idea di pranzare da lei – poi l’uccello era atterrato soffice e indenne fra i nidi di fettuccine.
La donna guardò quella signora paffuta, guardò la pasta che ancora le stava porgendo, prese una pentola e con indolenza la riempì d’acqua e la mise sul fuoco, precisando prima di non avere fame.
La vicina aveva assistito dalla finestra all’incidente sulla linea del treno e sapeva che l’elettricità era stata tolta in tutta la zona per i lavori di ripristino, così non si era preoccupata mai nemmeno quando aveva sentito il marito urlare, aveva pensato piuttosto che fosse l’improvviso entusiasmo dovuto al ritrovare qualche utilità in un phon dopo anni di calvizie.
Si lisciò con le mani il grembiule infarinato, la tasca centrale gonfia di sassi.
Mentre la pasta coceva e i vetri della finestra si appannavano per il vapore, la vicina continuava a guardare fuori, prima verso la sua casa, che stava proprio di fronte a lei, poi verso il confine della città e il fiume grigio che lo segnava.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

ma è ancora in progress, giusto? ogni volta sembra continuare per cerchi concentrici...
aspetto altre evoluzioni e ribadisco che il tipo che ricorda l'importanza di una buona mira e di mano ferma i certi casi ha tutte le mie preferenze.
scusa se dico "in progress", sono troppo pigro per trovare una forma migliore per dire la stessa cosa.

Anonimo ha detto...

prendi la tua macchina fotografica, esci da casa; vattene a fare ritratti a sconosciuti: il diaframma lo apri tutto e sfumi l'inutile, oppure metti tutto a fuoco?

Anonimo ha detto...

Censura?

Anonimo ha detto...

ripensamenti.

megafoni a blatero ha detto...

non amo il teleobbiettivo, questo già è un indizio.
ma gli occhi, quelli devono essere a fuoco, per questo mi vergogno...

Anonimo ha detto...

bene, tira fuori la vergogna, allora, arrossisci e facci arrossire...