cominciamo da qui

sabato 22 settembre 2007

OTTO LEPROTTO SALVACI TU!
la fine della terza persona

Ogni pomeriggio, alle sedici in punto, Otto il Leprotto faceva il giro del parco col suo trenino elettrico. Dalla locomotiva, in cui entrava a forza per via di quel costume ingombrante, rideva a gran voce e con ampi movimenti del braccio salutava ogni bambino.
Ma quel giorno aveva saltato il suo giro. Tutto il personale del parco era adunato sotto il katoon, con le teste piegate inverosimilmente verso l'alto a scrutare le sagome dei sessantaquattro ragazzi incastrati a metà percorso.
Uno dei visitatori indossava un bracciale del secondo giorno ed era stato quindi invitato, con una gentilezza che non ammetteva repliche, a sedersi su uno dei sedili riservati a chi aveva già ricevuto il chip. Ma il ragazzo era un infiltrato. Il bracciale non era il suo, gli era stato passato al di là del recinto perché risparmiasse il biglietto.
Quando dal sedile, poco prima della discesa più ripida, erano state inviate le sondine dietro il collo del ragazzo, la mancanza del chip di preparazione aveva mandato in tilt il circuito. Il treno si era bloccato lasciando i sessantaquattro passeggeri imprigionati a centodue metri di altezza.
Mirabilio stesso era strisciato fuori dalla sua alcova per scrutare quanto la situazione fosse grave: un incidente di quelle dimensioni avrebbe significato la chiusura del centro per forse un anno o anche più. Forze dell'ordine e squadre fomentate da quelle serie a puntate che di recente passavano in tv avrebbero messo sottosopra il centro e, sia mai, avrebbero potuto scoprire la perfetta macchina produttiva che si celava dietro gli ampi sorrisi e le strutture colorate. Prese immediatamente in mano la situazione: ordinò al personale tecnico di disattivare le sonde e provare a riavviare il treno. I comandi, però, non rispondevano. Il pannello era completamente buio se non per una sinistra lucina verde che continuava a lampeggiare, solitaria.
Per evitare lo scatenarsi del panico, ordinò di diffondere la voce che quello sospeso in alto era il primo, fortunato, turno per cui il giro comprendeva anche una sosta panoramica. La storia era traballante e solo qualche dodicenne più sprovveduto della norma avrebbe potuto crederci ma nell'emergenza non era venuto fuori niente di meglio. Così il personale cominciò a girare per il parco con il triplice scopo di tranquillizzare, riavviare le consuete attività e controllare chi fosse il responsabile del disastro: chi aveva passato il bracciale al ragazzo.
Quando lo vidi arrivare verso di me, Otto aveva tolto i guanti e due piccole manine umane sbucavano dalle enormi braccia di gommapiuma. Mi sorrise: non poteva fare altrimenti, il testone che indossava era stato creato per far sembrare eterna e gioviale quella sua bocca da coniglio.
Il suo trenino era parcheggiato poco prima del ponticello dove me ne stavo seduta ad osservare, da lontano, le gambe dei passeggeri sospesi sul katoon. Mi divertivo abbastanza nel vederli sgambettare nel vuoto.
Otto si sedette accanto a me e mi squadrò un pochino.
Immaginai che stesse pensando alla mia età. Secondo me si chiedeva come mai fossi lì se non avevo figli da accompagnare.
Mi passò una mano dietro la nuca e la fece scendere verso le spalle. Aveva un tocco delicato, molto sensuale. Poi capii cosa stava cercando: lo sentii anch'io, c'era un piccolo bottoncino dietro il mio collo. Qualcuno doveva avermi impiantato una sorta di microchip, come in matrix. Ricordai il pizzicore, nello stesso preciso punto, che avevo sentito il giorno prima sulle montagne russe. Cominciavo a capire solo in quel momento cosa accadeva in quel posto, ma di lì a poco avrei saputo tutto.
Mi prese le mani e osservò i miei polsi, non c'era il bracciale. Doveva aver capito, ero stata io.
Alzò lo sguardo verso il mio viso e rimase in silenzio a scrutarmi. Alla fine mi parlò.
"Ci sono sessantaquattro persone sospese a centodue metri d'altezza, ed è colpa tua. Insomma, la vuoi finire 'sta storia oppure no?"
Il suo costume si ripiegava in modo buffo mentre lui stava seduto lì accanto a me. Guardai nel buco che aveva subito sotto il naso di gomma, vidi due occhi azzurri illuminare la cavità del testone da lepre. Mi chiesi se dentro quel costume ci fosse posto per due.
"La storia finisce che muoiono tutti" gli dissi.

3 commenti:

gianluca didino ha detto...

commento1: bello anche questo. questo sembra proprio la bender, visto che ne parlavamo.
il terrore delle cose buffe - prende sempre anche me, temo.
se avessi una rivista lo pubblicherei .
ora proseguo.

Anonimo ha detto...

é chiaro che Otto è il mio cagnolino, ma Mirabilio è proprio Claudio?

Anonimo ha detto...

finalmente mi è venuta voglia di leggere otto leprotto.una domanda,ma non ti andava di prolungarti troppo o non sapevi come farlo finire?scherzo,comunque solo tu potevi scrivere un racconto di tale inventiva.dopo che hai scritto questo racconto ti sei controllata il collo?:-)ciao baby paperonzola