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giovedì 4 ottobre 2007

VECCHI PORCI
II
Una voglia diffusa

Guardava la foto di quel ragazzetto dai lineamenti delicati e cercava di immaginarselo ormai vecchio, vecchio quasi quanto lui. Cinque anni di meno aveva Matteo, e quei cinque anni l'avevano salvato dal partire per la guerra. E così mentre lui era lontano e scriveva lettere d’amore alla donna pudica e timorata di dio che aveva lasciato sola a casa, lei e quel ragazzino scoprivano improvvisamente che quel peccato da cui tutti volevano tenerli lontani era incredibilmente piacevole.
Per quanto nel giro di pochi anni le loro situazioni si sarebbero ribaltate, lui nuovamente e legittimamente al fianco di lei e Matteo lontano e relegato nella sola condizione di scriverle delle lettere, Elio non avrebbe mai avuto la sua giustizia, non sarebbe mai arrivato a conoscerla veramente: quella che si ritrovava in casa era tornata ad essere la piccola fanciulla casta e disinteressata al sesso.
Eppure quel ragazzo ormai era un vecchio come lui, più vecchio di lui, perché la solitudine che lo stava consumando in quegli anni di lutto, su Matteo aveva avuto molto più tempo per scavare le guance e far cadere le spalle, aveva avuto una vita intera.
Nell'ultima cartolina che era arrivata, attraverso la calligrafia piccola e tonda di una qualche infermiera, Matteo le chiedeva di raggiungerlo, per poterle stringere la mano un'ultima volta, nient'altro voleva che sentire la sua voce e stringerle le mani.
Prima di prendere in considerazione l'invito, prima di recepire del tutto l'idea che l'amante di sua moglie stava morendo, cercò di immaginare l'infermiera che aveva scritto quella cartolina. Quelle lettere così rotonde e minuscole, immaginò una ragazza dalla carne morbida e liscia, come quelle piccole pi.
Ma niente, niente, nemmeno la soddisfazione di una mezza erezione, eppure l'infermiera nella sua testa era davvero un amore di fanciulla.
Da quando poi aveva cominciato a essere Ada, da quando, dopo la morte di lei, aveva cominciato a rispondere al suo posto alle lettere di quell'uomo, gli sembrava volgare e sporco solo pensare di poter prendere qualche pastiglia e andarsene con una puttana. Così, nella sua solitudine, anche il suo coso (così lo chiamava Ada, quelle pochissime volte che aveva dovuto nominarlo, abbassando gli occhi e dicendo il tuo coso) l'aveva abbandonato lasciando al suo posto un'appendice goffa e imbarazzante nella sua inutilità. Era rimasta solo una voglia diffusa attraverso tutto il corpo che non sarebbe stata in grado di convogliare sangue in nessun punto specifico.

Aveva deciso alla fine, sarebbe andata. Doveva scegliere cosa mettere in valigia. Sarebbe uscito come Elio, per non destare sospetti, e una volta arrivato lì si sarebbe cambiata d'abito nel bagno dell'ospedale.
L'idea che non poteva non andare le era arrivata mentre stava in piedi fra le ante aperte dell'armadio con i loro specchi interni che moltiplicavano la sua figura all'infinito. Era sempre stata affascinata da quell'effetto, quante volte suo marito l'aveva spiata mentre muoveva le gambe e le braccia in una sorta di balletto privato con tutte quelle repliche di sé che la seguivano in sincronia.
Si guardò meglio, con la maglia del pigiama sgualcita addosso, penzolante come la sua pelle. Si tirò su drizzando le spalle. Per Matteo che era ormai cieco avrebbe indossato il vestito delle nozze d'oro, giacca e gonna blu con la camicetta bianca a piccoli fiori. E avrebbe comprato una parrucca, dai capelli grigi. E avrebbe riaperto quelle scatoline con i trucchi che erano rimaste nei ripiani dietro lo specchio del bagno, immobili, in attesa.
Doveva rasarsi per bene, il viso, le gambe e le mani che mai avrebbe permesso a Matteo di credere che le dita di Ada, le nervose dita di Ada, avevano dei peli su.

Le sue gambe erano molto più magre e lunghe di quelle di sua moglie. La gonna gli stava larga sui fianchi e mezzo tallone gli usciva fuori dalle scarpe, aveva dovuto tagliare il cinturino perché non riusciva a sganciarlo. Le calzette di nylon gli segavano appena sopra le ginocchia, dove già qualche minuto dopo averle indossate aveva una riga rossa che lanciava grida di guerra alle sue vene per ogni passo falso. E quel reggiseno riempito di ovatta puntava le tette finte dritto davanti lo specchio, contro la stessa faccia che stava ricoprendo di trucco imitando i gesti che gli erano rimasti nella memoria.
Ma quando ebbe finito si guardò meglio, si sorrise con le labbra lucide, decise che il rossetto andava tolto e si pulì con un pezzo di carta igienica. Sorrise di nuovo. Ciao Matteo.
Ancora non andava. Chiuse gli occhi con le ciglia più pesanti per via del rimmel, bevve un sorso d'acqua. Addolcì la voce, cercando di continuare a sorridere mentre di nuovo ripeteva, ciao Matteo.
Ancora, più leggera, via la sua pancia, stretta. Ciao Matteo, ciao Elio.
Ora sì.
Riaprì gli occhi, fissò se stessa nello specchio e salutò il suo ritorno.
Mi sei mancata, Ada.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tanti saluti a tutti i miei amici di Rotative, continuate così,
Antonio Di Pietro