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martedì 11 novembre 2008

ci metto troppi vecchi nei racconti

In due momenti della giornata sento che la mia sociopatia sale al limite: quando si alzano le serrande al mattino e trovo fuori sull’asfalto umido, ad attendere l’apertura del negozio, un gruppetto di agguerriti armati del volantino con le ultime promozioni pronti a rovistarmi anche nello stomaco pur di trovare l’offerta del mese, e poi questo, la sera, quando al ritorno verso casa scendo dalla metro e devo sentirmi spingere ripetutamente, in piccoli colpetti che arrivano ovunque: ai fianchi, sulle spalle, sul culo, sulle braccia che non posso più muovere e mi sento costretto, colpetti di ginocchia contro le mie, di ginocchia, non ho autonomia di movimento devo solo farmi trasportare dalla marea fino alla scala mobile. Mi manca il respiro e penso che vorrei camminare coi gomiti protesi verso l’esterno a puntellare la massa di corpi, a tenerla lontana che almeno possa respirare un po'.
Sulla scala mi sposto automaticamente sulla destra, che rimanga spazio sulla sinistra per chi ha fretta, che tanto poi anche se me ne sto scostato di lato mi sbatteranno contro le loro borse piene di oggetti appuntiti e le loro buste della spesa, schifosamente umide per via dei surgelati, dei cadaveri di animali spellati e so un cavolo io cos’altro ci tengono nascosto dentro.
Forse dovrei superare il vecchio che mi sta davanti, barcollante, che rischio pure mi caschi addosso da un momento all’altro. Lo guardo, i tendini dietro il collo tesi e sporgenti con una fossa nel centro che pare possa risucchiargli anche la testa prima di stanotte. Ha le maniche del maglione tirate su al gomito come se fosse appena tornato da una giornata di lavoro nei campi, gli guardo l’avambraccio e la mano poggiata sul nastro di gomma del corrimano scorrevole. Mio nonno che torna da una giornata di lavoro nei campi, le maniche della camicia arrotolate e il braccio forte coi muscoli tesi che regge la vanga leggermente scostata dal corpo. Io gli corro incontro e ai piedi ho degli stivaletti di gomma rossi con superman stampato sui due lati esterni, col braccio teso che punta il cielo, o il mio fianco.
Il maglione del vecchio puzza di armadio chiuso e di cucina a base di dado da brodo. Dovrei superarlo ma rimango fermo lì, lo annuso ancora un po’ e gli guardo di nuovo le braccia, la pelle. È molto più vecchio di mio nonno, è vecchio quanto mio nonno non potrà più diventare. Non ha la stessa rassicurante solidità. Se lo superassi ora e lo guardassi in faccia anche quegli ultimi piccoli pezzetti di paragone cadrebbero sulla scala mobile e verrebbero presto arrotolati sotto, trinciati dal meccanismo. Una volta ho visto una donna coi pantaloni impigliati nel punto dove il nastro metallico rientra disciplinato da un pettine di metallo: la scala mobile sembrava un mostro e le ha strappato i pantaloni. Però dovrei superarlo perché i vecchi una volta arrivati in cima cominciano a fare quei passettini inutili e rimangono fermi sempre allo stesso punto mentre la scala continua a riversargli addosso gente che spinge e non trova sfogo. Non è consigliabile rimanere qui dietro. Eppure mi accosto solo un po’ a sfiorargli la mano con la pelle ruvida in superficie e molle nella consistenza, come se fosse staccata dal resto del corpo. Il vecchio, naturalmente, non se ne accorge.
Attaccato dietro il maglione ha una foglia di cardo, secca, chissà da dove viene e da quanto tempo sta lì. Gli ultimi gradini si appiattiscono per infilarsi sotto gli ingranaggi, come prevedevo il vecchietto comincia a muovere i piedi rimanendo fermo sul posto. Mi avvicino di più, vorrei aiutarlo o vorrei solo toccarlo, senza che si giri. Poi la sento, la voce di qualcuno da dietro che dice “permesso!” imperativa, una ragazza dai jeans a vita bassa e con dei finti piccoli cristalli posizionati sul sedere a comporre la parola JEANS, cos'altro poi. Non ho tempo di scrivermi in fronte ALLIBITO perché la ragazza mi sbilancia, il vecchio è ancora fermo e io mi appoggio a lui, sento l’odore della brillantina Linetti e di cuoio capelluto, caracollo, lui si sposta poco e io sto per cadergli addosso, lo schivo e riesco, finalmente ma malvolentieri, a superarlo; cerco di tenermi alla colonna quadrata di marmo ma sono quasi carponi ormai e sbatto l’avambraccio contro lo spigolo. Il vecchio barcolla, già lo faceva prima, da fermo, ma ora mi guarda torvo come se fosse colpa mia e alza il bastone verso di me: mi vedo sotto il naso il cerchio nero del gommino che sta sulla punta a proteggere il legno.
Una signora si ferma, insieme a lei altre persone, mi guardano accusatorie. Chiedono al vecchio se si sente bene se è tutto a posto. Guardano i miei occhi arrossati e lucidi, devono pensare che sono fatto di chissà cosa. Io mi tengo il braccio, accarezzo le ossa, ulna, radio, ulna, esaspero l’espressione di sofferenza, mi sono fatto male sono una vittima. Loro non sono interessati al mio dolore, chiedono al vecchio se ha tutto, se gli manca niente dalle tasche, mi circondano e io mi arrendo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

brava, mi piace, scritto in quanto tempo? di getto?
il corso di scrittura come va? finito?
togli quel "che cazzo", è orripilante.

megafoni a blatero ha detto...

scritto in quanto tempo? di getto?
scritto di getto, in una mezz'ora, ma se hai memoria ci ritrovi dentro pezzetti di cose abbozzate nel tempo e pubblicate qui in micro-post o rimaste sospese.
il corso di scrittura come va? finito?
ricominciato ieri sera, appunto, dopo quattro mesi di pausa.
togli quel "che cazzo", è orripilante.
tolto.

ho due dubbi e liscrivo qui:
1) quella cosa dello scriversi in fronte allibito mi lascia dei dubbi, mi pare un po' un ammiccamento ironico che ironico poi non è, vorrei solo qualcosa che sottolineasse l'assurdità di scrivere "jeans" su dei jeans (ma sono io che mi faccio 'ste paranoie?) forse lo toglierei e metterei un confronto fra culo-jeans: il volume delle forme e il piatto sforzo semiotico. ecco.
2) la frase chiave è "loro non sono interessati al mio dolore" - se ha senso parlare di frase chiave (ma ora lasciamo stare 'ste pippe mentali) - avrei voluto metterla alla fine ma poi risultava troppo "patetica" così però rimane troppo sommessa? nascosta? bah.

Anonimo ha detto...

1) va bene così.
2) lascia la possibilità a chi lo legge di vederci dentro quello che vuole lui/lei.
3) vai avanti, ora non ti fossilizzare su questa cosa, scrivi altro, vai avanti.